E’ entrata in vigore, sanzionabile, la nuova legge sul dispositivo anti abbandono.
Non so dire se provo più tristezza o più rabbia.
Siamo nel 2020: super tecnologici, con professioni gratificanti, tempo libero strutturato, la possibilità di raggiungere in poco tempo, virtuale o non, luoghi lontani. Basta che pensiamo a qualcosa: internet e uno stuolo di esperti sempre a portata di click ci aiutano a capire se e come realizzarlo. Tutto ciò sicuramente è gratificante, motivante e a volte ci dà qualche sprazzo delirante di onnipotenza ma, tutto sommato e nell’insieme ci barcameniamo abbastanza bene, chi più chi meno.
Ed è proprio in questa consapevolezza di crescita e sviluppo che nasce l’amarezza di un pensiero, nel momento in cui penso che per la tutela dei bambini dobbiamo fornire ai loro genitori un dispositivo anti abbandono.
Non c’è forse qualcosa che stride o quanto meno che chiede di fermarci per una riflessione?
Per prenderci cura bene, come dovrebbe essere invece naturale fare, dei nostri bambini dobbiamo mettere un segnale di allarme che ricordi a quel genitore, che non sta solo andando a lavorare, ma che dietro ha un bambino, magari ancora un pò assonato o piccolissimo – per cui non segnala la sua presenza con canzoncine o parole il suo esserci – e che ha bisogno di un allarme.
Si perché di fatto è di questo che parliamo, un allarme che dice ”ricordati di lasciarlo giù al nido”, proprio come facevamo con il vecchio post it attaccato al cruscotto della macchina, per ricordarci, non certo che avevamo un bimbo a bordo, ma di passare in lavanderia o di andare a ritirare la torta perché stasera sarebbero venuti degli amici per una serata in compagnia.
Il figlio come i pantaloni da lavare o come la torta da ritirare! Non è alquanto triste, o meglio preoccupante, tutto ciò?
Se mi fermo a questo pensiero non posso non sentirmi rattristata o anche solo preoccupata, tanto da pormi alcune domande.
Come mai in tutta questa evoluzione abbiamo invece perso o almeno indebolito quella parte più arcaica ma così tanto rassicurante quale la capacità di prendersi cura responsabilmente, dei nostri cuccioli?
Una parte istintiva, naturale, che dovremo continuare a coltivare responsabilmente e che invece sembra in bilico (anche se per pochi casi, che sono comunque troppi, visto che si è avvertita la necessità di farci un dispositivo di legge).
In questo gli animali ci hanno superato: continuano a seguire le loro leggi di natura e ad accudire senza richiami sonori o spie super intelligenti e super tecnologici apparecchi.
Un dispositivo anti-abbandono innaturale
Oltre a progettare un dispositivo e renderlo obbligatorio, sicuramente utile ed opportuno se bastasse a tutelare anche un solo bambino e la sua famiglia, possiamo soffermarci un attimo su tutto ciò, e pensare che, oltre al dispositivo serve anche qualche altro intervento?
Non è opportuno andare alla fonte del problema e chiederci cosa possiamo fare e come aiutare questi giovani genitori, per fornire loro un supporto di crescita, non tecnologico, ma relazionale? Come mai siamo arrivati a tanto, che cosa ci è sfuggito di mano in questa corsa frenetica che caratterizza la nostra attuale società?
Certo, un pensiero di affetto e di buona pena, mi è andato anche a quel genitore soggetto di un tal evento traumatico e al senso di colpa e dolore che non so quanto riuscirà mai a lasciarlo.
E qui un pensiero spontaneo è verso la generazione che sta sopra, e non solo, anche della stessa società, che penso debba farsi promotrice di un sostegno, di trasmettere valori ma anche la comprensione e l’aiuto verso questi nuovi genitori, nella trasmissione di un sapere non solo tecnologico, ma di cura, di un sapere vissuto nella relazione, nell’impegno e nella comprensione.
Nella mia passione ed interesse per la famiglia, per la coppia, per la persona, non ho potuto fare a meno di condividere questo mio pensiero e sentire, perché fondamentalmente è stato questo sentire, tristezza o preoccupazione e perché no, anche un pò di rabbia, da cui sono partita, che hanno mosso in me la necessità di condividere un pensiero.
Non solo sentire, ma anche un dovere di responsabilità, che inevitabilmente coinvolge anche la generazione che sta a monte, che davanti a tali eventi non può restare insensibile, con il dito puntato dicendo “ai miei tempi non succedeva” ma interrogarci, rimboccarci le maniche e cercare, uniti, di capire e superare le difficoltà sottese a tali eventi drammatici.
Non vuole essere questo il luogo dove dare soluzioni, informazioni o quant’altro, il mio vuole solo essere un pensiero ed una condivisione per poi continuare a riflettere, assieme, e a pensare come continuare ed andare oltre un semplice dispositivo, utile certamente, ma che non può e non deve rimanere l’unico intervento di una società civile che della cura ha sempre fatto un suo importante valore.
Pensiero che non vuole essere né accusa né polemica, non voglio infatti giudicare ma nemmeno giustificare, quanto cercare di sensibilizzare e volgere uno sguardo anche di protezione verso queste nuove generazioni di genitori che, prese sicuramente in una realtà lavorativa e sociale complessa abbisognano anche loro, di uno sguardo genitoriale che possa sostenerli in questo importante, delicato e complicato “mestiere” che è l’essere genitori. Delicato e complicato, ma sicuramente carico d’amore e di realizzazione che è necessario non perdere e che spetta anche a noi, generazione più matura, sostenere e stimolare.
* Dott.ssa Paola Formaglio *
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