Nel 1958 Harlow ha osservato come i cuccioli dei macachi Rhesus, separati dalla madre poco dopo la nascita e allevati in laboratorio, preferivano un sostituto artificiale della madre coperto di stoffa soffice e calda a uno di ferro in grado di offrire nutrimento.
A partire da questa osservazione, lo studioso John Bowlby ha ipotizzato che, come il cucciolo di scimmia, anche il bambino ricerchi dalla madre non solo nutrimento, ma in primis conforto e sicurezza.
Secondo Bowlby (1969), la specie umana sarebbe dotata di un sistema di attaccamento, ovvero di un sistema di controllo del comportamento che favorisce una sufficiente vicinanza alla figura di riferimento principale, in modo da ottenere protezione e conforto.
Tale sistema accomuna tutti gli esseri umani e ha la funzione evolutiva di proteggere dai pericoli e garantire la sopravvivenza.
Infatti, i neonati hanno una tendenza innata a mettere in atto comportamenti quali il pianto, il richiamo o il sorriso, al fine di raggiungere o mantenere la vicinanza alla figura di riferimento, in primis la madre.
Il legame di attaccamento che il bambino instaura con il caregiver ha le funzioni principali di fornire una base sicura che permetta l’esplorazione dell’ambiente ed essere un rifugio sicuro da cui ottenere conforto.
Tali funzioni sono le stesse svolte anche dai legami di attaccamento in età adulta, ma con alcune differenze: in età adulta il comportamento di attaccamento potrebbe essere meno evidente o esser messo in atto meno frequentemente rispetto a quanto accade in età infantile; inoltre, mentre il legame genitore-bambino è asimmetrico, i legami adulti sono caratterizzati da aspetti di reciprocità e complementarietà.
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Sommario
Come si forma il legame di attaccamento?
Il legame di attaccamento si forma, a partire dai primi mesi di vita, attraverso 4 fasi:
- fase di pre-attaccamento (0-2 mesi): in questa fase il neonato non distingue le diverse figure per cui vi interagisce in modo indiscriminato;
- fase di sviluppo dell’attaccamento (2-7 mesi): il neonato riconosce la figura materna o di chiunque si prenda cura di lui e ricerca il contatto attraverso comportamenti di segnalazione rivolti in modo selettivo al caregiver;
- fase del legame di attaccamento sviluppato (8-24 mesi): il bambino ricorre al caregiver come base sicura e inizia a sperimentare l’ansia da separazione e la paura nei confronti degli estranei;
- fase di partnership (dal secondo o terzo anno di vita): il legame di attaccamento diventa bilaterale, in quanto il bambino riesce ad adattarsi anche alle necessità del caregiver e impara a tollerare la lontananza da quest’ultimo, rappresentandolo mentalmente. In questa fase iniziano a svilupparsi i “modelli operativi interni” (MOI).
Cosa sono i modelli operativi interni (MOI)?
I MOI sono schemi cognitivo-affettivi che guidano il comportamento di attaccamento. Si costruiscono a partire dalle prime esperienze relazionali interiorizzate, per cui inizialmente sono relazione-specifici, poi tendono a generalizzarsi e fungere da filtro cognitivo per comprendere le relazioni future.
Dunque, secondo Bowlby, l’esperienza precoce con le figure di attaccamento, attraverso la formazione dei MOI, influenzerebbe il futuro funzionamento relazionale.
I MOI comprendono le rappresentazioni di sé, dell’altro e le aspettative nei confronti della relazione.
- il MOI del sé riguarda la percezione di valore relativa a se stessi nei termini di quanto ognuno si considera degno di amore.
- Il MOI dell’altro contiene le aspettative riguardo alla responsività e disponibilità della figura di attaccamento.
Il modello del sé e della figura di attaccamento si sviluppano in modo complementare, confermandosi reciprocamente.
Infatti, se la figura di riferimento è in grado di riconoscere e soddisfare i bisogni di protezione e vicinanza del bambino e al tempo stesso sollecita la sua esplorazione autonoma, è probabile che il bambino svilupperà un MOI di sé come una persona di valore e autonoma; al contrario, se il genitore non accoglie tali bisogni, il bambino può sviluppare un MOI di sé come non degno di amore e non autonoma.
Quali sono gli stili di attaccamento in età infantile?
Lo stile di attaccamento può essere definito come il “modo caratteristico dell’individuo di stare nelle relazioni intime di cura e relazionarsi con le figure di attaccamento” (Levy et al., 2011, p. 193).
Mary Ainsworth (1978) ha indagato il legame di attaccamento nei bambini, osservando il loro comportamento in situazioni stressanti, come la separazione dal caregiver e l’entrata di un estraneo nella stanza da gioco.
Attraverso questa procedura sperimentale, detta Strange Situation, ha definito tre stili di attaccamento: sicuro (tipo B), insicuro-evitante (tipo A), insicuro-ambivalente (tipo C).
- I bambini con stile insicuro-evitante si dedicavano soltanto all’esplorazione dell’ambiente, sembravano indifferenti alla separazione dal caregiver e non cercavano conforto al suo ritorno.
Questo stile di attaccamento deriverebbe dall’esperienza relazionale con un genitore non responsivo nei confronti del bambino e che ha scoraggiato ogni manifestazione di angoscia e di affetto. - I bambini con stile sicuro esploravano l’ambiente in tranquillità alla presenza del caregiver, protestavano in caso di separazione dalla figura di riferimento (es. smettevano di giocare, rifiutavano il conforto dell’estraneo, si mostravano angosciati), ma erano facilmente consolati al suo ritorno per cui ricominciavano a dedicarsi al gioco.
In questo caso, la figura di riferimento rappresenta una base sicura da cui poter tornare durante l’esplorazione dell’ambiente e che consente lo sviluppo dell’autonomia e delle competenze del bambino.
Lo stile sicuro è tipico dei bambini che, abituati a ricevere conforto quando provano paura o angoscia, sviluppano fiducia nei confronti del caregiver e adeguate modalità di regolazione emozionale. - I bambini con stile insicuro-ambivalente mostravano comportamenti contraddittori nei confronti del genitore poiché, da un lato, protestavano al momento della separazione ma, dall’altro, resistevano ai tentativi di consolazione da parte del genitore.
Tale stile di attaccamento deriverebbe da esperienze relazionali con un genitore intrusivo, iper-controllante, che non risponde in modo coerente ai bisogni del figlio, il quale, preoccupato di non ottenere attenzioni, impara a richiederle in modo eccessivo, non certo della risposta che potrebbe ottenere.
Successivamente è stato introdotto un quarto stile, caratterizzato dall’assenza di organizzazione del comportamento di attaccamento.
I bambini “disorganizzati/disorientati” mettevano in atto comportamenti contraddittori, sembravano confusi e spaventati, talvolta chiedevano conforto all’estraneo e, quando il caregiver era di ritorno, mostravano resistenza e pianto.
Tale stile di attaccamento deriverebbe da esperienze atipiche, di maltrattamento o trascuratezza, con genitori definiti spaventati e spaventanti.
In questi casi, si crea una situazione paradossale in cui il genitore, da fonte di conforto quale dovrebbe essere, diventa causa di paura e angoscia, disorientando il bambino.
E in età adulta? Quali sono gli stili di attaccamento principali?
Come accennato in precedenza, secondo Bowlby, la relazione infantile con il genitore rappresenterebbe il prototipo delle successive relazioni amorose.
A supporto di ciò è stata riscontrata una relativa continuità tra gli stili di attaccamento in età infantile e gli stili di attaccamento in età adulta.
Una classificazione importante degli stili di attaccamento in età adulta si deve a Bartholomew e Horowitz (1991) che hanno proposto una concettualizzazione basata su due dimensioni: MOI del sé e dell’altro, che possono essere positivi o negativi; dalla combinazione delle due dimensioni derivano quattro stili di attaccamento.
- Lo stile sicuro è caratterizzato da MOI del sé e degli altri positivi. Un MOI positivo del sé come persona degna di amore si associa a un buon livello di autonomia e fiducia in sé, mentre un MOI positivo degli altri, comprendendo aspettative positive circa la loro disponibilità, si associa alla propensione a ricercare l’intimità e a chiedere aiuto in situazioni di bisogno.
Dunque, gli individui con attaccamento sicuro hanno buone capacità di coping, sono in grado di esprimere le emozioni e di chiedere supporto alle persone vicine e al partner, poiché hanno sperimentato quanto questa modalità possa alleviare le emozioni negative e aiutare nella risoluzione dei problemi. - Lo stile preoccupato è caratterizzato da un MOI di sé negativo e un MOI degli altri positivo; gli individui con questo stile hanno un elevato bisogno di approvazione altrui e dipendono dagli altri per rinforzare la propria autostima, tendono a ricercare l’aiuto, le attenzioni e l’intimità con l’altro in maniera eccessiva.
- Lo stile distanziante-rifiutante, caratterizzato da un modello del sé positivo e degli altri negativo, si distingue per un elevato livello di indipendenza e autosufficienza, con una costante svalutazione del bisogno di attaccamento.
Infatti, gli individui con questo stile di attaccamento mantengono una relativa distanza dagli altri, fanno affidamento solo su di sé e hanno difficoltà a rivelare i propri sentimenti. - Lo stile timoroso è caratterizzato da MOI del sé e degli altri negativi. Gli individui con questo stile di attaccamento provano disagio nell’intimità e mostrano una scarsa fiducia in sé, per cui temono l’abbandono e il rifiuto dall’altro e tendono a non chiedere aiuto e a non fidarsi di nessuno.
Bibliografia
Ainsworth, M.D.S., Blehar, M. C., Waters, E. & Wall, S. (1978) Patterns of attachment: A psychological study of the Strange Situation. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Bartholomew, K., & Horowitz, L. M. (1991). Attachment styles among young adults: a test of a four-category model. Journal of personality and social psychology, 61(2), 226.
Bowlby, J. (1969/1982). Attachment and loss: Vol. 1. Attachment. New York: Basic Books.
Levy, K. N., Ellison, W. D., Scott, L. N., & Bernecker, S. L. (2011). Attachment style. Journal of Clinical Psychology, 67(2), 193–203.
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