Non molti anni fa, l’abbandono di un minore era la regola del giorno; ciò che oggi consideriamo un grave delitto e danno, era la normalità.
Cos’è cambiato da allora? Perché anche a quel tempo quegli orribili delitti non venivano considerati tali ma venivano giustificati o, addirittura, consigliati?
Abbiamo iniziato a renderci conto che anche i bambini hanno dei diritti?
La violenza veniva utilizzata come mezzo di educazione. Si pensi ad esempio alle fustigazioni messe in atto dagli insegnanti nel Medioevo per trasmettere regole agli allievi.
I genitori inoltre avevano pieno potere e diritto sui propri figli, considerando di poter fare ciò che volevano.
La maggior parte dei maltrattamenti o abusi avvenivano e avvengono all’interno delle mura domestiche.
Vengono definiti abusi intrafamiliari, ovvero abusi e maltrattamenti perpetrati da persone all’interno della cerchia familiare o che ne fanno parte quotidianamente senza aver nessun legame di sangue, ma che hanno un’autorità psicologica.
Può avere varie forme e presentarsi attraverso varie modalità, lungo un continuum che passa da semplici atti esibizionistici da parte dell’adulto, fino al rapporto sessuale vero e proprio.
Una delle forme più importanti nell’infanzia di un bambino è la trascuratezza, la non presa di cura da parte dei genitori.
Il venire trascurati, non ricevere cure da parte dei genitori o riceverle in modo non adeguato, rappresenta una violenza nei confronti del bambino, in un momento in cui la cura e l’attenzione rappresentano uno dei suoi bisogni fondamentali in un periodo sensibile del suo sviluppo.
Nei casi di maltrattamento e abuso si parla di ciclo della violenza, ovvero il soggetto che ha subito violenza passa da vittima ad aggressore, diventando il carnefice a propria volta.
Un altro effetto dell’abuso è il ritenersi per sempre vittima, vedendo nelle azioni violente una presa di cura da parte della persona e una attenzione nei propri confronti.
Una diversa visione è il non essere la vittima della violenza, ma uno spettatore, se si pensa ad esempio nei casi in cui vi sono dei fratelli, ma loro non vengono abusati.
Questo può andare a generare un senso di esclusione nel fratello non abusato, in quanto la violenza, anche se in modo perverso, è una forma di attenzione.
Essere cattivi genitori
Oggi la gente si vergogna di essere un cattivo genitore e perciò lo nega.
Risulta quasi d’obbligo definirsi d’essere un bravo genitore, come se le cose che un tempo venivano fatte con normalità non esistessero più, quando in realtà esistono ancora solo che vengono attuate nell’ombra, senza farsi vedere o dar la possibilità alla vittima di farsi vedere o sentire.
Il negare di essere un cattivo genitore viene utilizzato come meccanismo di difesa inconscio della persona, perché la consapevolezza di essere una persona cattiva che fa cose cattive al proprio figlio non è accettabile dal soggetto.
Vengono negate le azioni che si mettono in atto, la consapevolezza di ciò che fa, la responsabilità che ha nei confronti di ciò che sta perpetuando, la gravità e il danno che ciò provoca nell’altra persona.
Possibilità di intervento
Ciò che rende ancora più difficile il poter mettere in atto delle strategie difensive o qualcosa che possa far smettere la violenza è la non richiesta di aiuto da parte della vittima.
Nella maggior parte delle volte i bambini non denunciano i loro genitori maltrattanti in quanto denuncerebbero le persone con le quali hanno il principale e fondamentale legame di attaccamento, oltre ad essere coloro che garantiscono cure e sopravvivenza.
Il carnefice delle violenze è chi si prende cura di loro. E come potrebbero mai denunciarlo?
Ecco che entrano in gioco le istituzioni, le persone più vicine al bambino, gli insegnanti, che devono poter cogliere i segnali che il bambino può dare e cercare di mettere in atto le difese più opportune.
Per poter cogliere questi segnali però risulta necessario vi sia un’istruzione e informazione a ciò che potrebbe accadere o cosa il bambino potrebbe segnalare, anche non a voce, ma tramite il corpo, il non verbale.
Risulta importante aiutare i genitori a diventare protettivi nei confronti del proprio figlio per far sì che non si vada a rafforzare una mancata attenzione o presa in cura e estinguere i sensi di colpa che il bambino può andare a generare.
Un altro modo per intervenire come fattore di protezione nella vita del bambino è andare a prevenire che quest’ultimo possa essere esposto a potenziali eventi traumatici.
>> Leggi anche “Come rendere consapevoli i bambini delle proprie emozioni“.
Questo può essere svolto attraverso la messa in atto di programmi di aiuto per i genitori con una storia passata di abusi o maltrattamenti, o aventi delle fragilità sul piano psicologico, anche se non ancora sfociate in psicopatologie.
Il bambino non aiutato o non preso in tempo, oltre a entrare nel ciclo della violenza e riproporre ciò che ha subito, può andare a sviluppare un PTSD (Disturbo post traumatico da stress), una psicopatologia conseguente all’aver subito o assistito a un evento traumatico.
Gioca un ruolo fondamentale lo sviluppo di una rete di intervento, formata da un’equipe multidisciplinare che vada sì a porre attenzione alla propria area di riferimento, ma che la colleghi anche agli altri tratti che compongono la vita della persona, affinché vi sia una presa in carico della globalità del soggetto.
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